Acqui Terme

Venerdì 11 gennaio il dott. Pirni al Liceo Classico, “La sfida della convivenza”

Alberto Pirni
Alberto Pirni

Acqui Terme. Venerdì 11 gennaio nel salone del Liceo Classico, alle ore 21, il prof. Alberto Pirni presenterà il suo ultimo libro La sfida della convivenza (ETS 2018). Si forniscono qui alcune suggestioni relative alla struttura del libro del prof. A. Pirni docente della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Il libro è strutturato in tre parti. Ad ognuna delle parti è annesso un excursus al fine di fornire al lettore e allo studioso maggiori strumenti comprensivi e del lessico specifico messo a punto per orientare la ricerca e dei concetti paradigmatici di riferimento entro i quali si muove l’indagine scientifica dell’autore.

La prima parte si intitola Luoghi di confine: il sé, gli altri. Qui si elaborano i confini entro i quali si definiscono tre concetti dell’etica interculturale: Identità, Alterità, Riconoscimento. Qui A.Pirni  cerca di illuminare le parti oscure dello spazio della convivenza. Vi sono aree intermedie nelle quali l’identità individuale e di gruppo è compresa come un prezzo, pagato per il posizionamento all’interno di un’ideale parabola avente per estremi la piena integrazione e il pieno misconoscimento.

L’identità non è impresa che si possa compiere in solitaria. Essa si costruisce, invece, a partire dall’interazione con la strutturazione di molteplici figure dell’alterità. L’alterità viene vista come: “esistere contro”, “esistere con” e “esistere attraverso” del singolo sé. L’identità individuale si forma così nell’interazione tra differenti sé impegnati a riconoscere l’altro. Entra in campo dunque il concetto di riconoscimento. Il concetto di riconoscimento si orienta sull’asse del centro della scena: si tratta di comprenderne i livelli di elaborazione e le rispettive articolazioni interne, per più efficacemente tornare ad applicarne i significati. In esso polarità radicale ne è il misconoscimento:

“Sul concetto di misconoscimento dell’altro mentre l’integrazione “favorirà la crescita di membri attivi della società. Ovvero di individui efficacemente e dinamicamente inseriti in ampie e coese reti di relazionalità, l’avvicinarsi, più o meno indotto, del singolo alla polarità del misconoscimento comporterà l’instaurazione di una serie di atteggiamenti di passività, di chiusura, quand’anche non di contrasto nei confronti della società o, comunque, del livello relazionale dal quale egli risulta o si sente misconosciuto” (p.39).

La seconda parte si chiama La comunità e la sfida della convivenza. La sfida della convivenza viene elaborata lungo due profilature convergenti elaborate all’interno di una matrice fenomenologica. Parlare di convivenza significa richiamare il concetto di Comunità. All’interno di questo concetto incontriamo i concetti di appartenenza e condivisione.  Soprattutto quello di condivisione ci informa circa la necessità di che cosa si può e che cosa si debba condividere. Vivere in comune è un fatto, mettere nel campo dell’esistenza comunitaria il che cosa si può e il che cosa si debba richiama la complessità.

La complessità richiama a sua volta un disagio generato in maniera ricorsiva. Secondo profilo della seconda parte. Distinzione in primo luogo del concetto di complessità da quello di coesistenza e delle relative implicazioni e, al tempo stesso, abilitando una rinnovata identificazione di spazio pubblico e dell’esigenza di auto-narrazione che il singolo sé chiede possa essere abilitata in esso, come principio attivo. I soggetti sono tutti “altri”. Come possono essere parte unitaria di un progetto di condivisione all’interno della comunità?

Imprescindibile è il ruolo svolto da Kant nella sua prima e poi seconda Metafisica dei costumi e la distinzione tra doveri perfetti e doveri imperfetti. Mentre il dovere perfetto è quello che esclude ogni eccezione verso l’inclinazione, il dovere imperfetto, per converso sarà quello che contemplerà tale possibilità. (p.113). Che cosa condividere insieme agli altri? Che cosa non condividere?

Il modello da ricercare, necessario alla stessa esistenza comunitaria deve essere nolens/volens quello di un dialogo individuo/gruppo e la ricerca di una reazione al disagio, proponendosi di interpretarlo in forme dinamiche, non omologanti e non pregiudiziali ma senza illudersi di portare a pieno compimento tale azione e senza per altro volerne in alcun modo prefigurarne l’esito. (p.142)

La terza parte Contesti di convivenza: il presente e il possibile che si interroga su alcune rappresentazioni e, insieme, contestualizzazioni teoriche di progetti di convivenza possibile. La convivenza si può sviluppare “entro spazi” che si devono distinguere da “entro luoghi” (concetti attinti dall’antropologia).  Si tratta di una convivenza che prende sul serio l’insistere di differenti culture nel medesimo territorio e cerca di inquadrare la coesistenza multiculturale alla luce di una precisa proposta normativa: la convivenza interculturale.

Un settore di indagine specifico viene orientato verso le religioni. Esse, possono offrire un contributo ad un concetto di spazio pubblico rinnovato? Esse possono accogliere il concetto di ospitalità reciprocamente inteso tra diversi individui e diverse religioni?

Si deve, all’uopo, richiamare l’idea di contesto e della sfida ad una convivenza ragionevole. Può essere superato il concetto di contesto? Può essere superata l’idea di uno spazio fisico coincidente con il contesto verso una dimensione altra più estesa concettualmente? È ciò che richiama un altro spazio possibile, ovvero, La sfida della convivenza inter contestuale che pone in essere la possibilità di  collocazioni e di abbandonare inadeguatezze che fossero di difficile riappropriazione. Quali inter contestualizzazioni possibili?

Importante la distinzione elaborata dall’autore tra luoghi e non luoghi riprendendo Marc Augé: “nei non luoghi nessuno si sente a casa propria, ma non si è nemmeno a casa degli altri”. Il rapporto di opposizione che esiste tra luoghi e non luoghi si riconosce anche nelle forme di socialità che essi rispettivamente incorporano: mentre i luoghi sarebbero all’origine del “sociale organico” i non luoghi creerebbero la contrattualità solitaria e sostanzialmente impersonale, tipica del viaggiatore che compra un biglietto in una stazione ferroviaria e dell’acquirente che fa shopping in un centro commerciale”. p. 181

Nello sviluppo tematico del libro sono stati inseriti tre excursus con il fine duplice di integrare con altri e nuovi materiali il medesimo punto di vista; d’altro canto essi intendono suggerire un ulteriore approfondimento al tema svolto nel primo excursus nell’ambito de La topografia morale del Sé con sottolineatura dell’interazione tra il Sé e ogni possibile altro che renda l’idea della dinamicità di tale interrelazione. All’interno di questa interazione viene introdotto il concetto di spazialità culturale e sociale (concetto di topografia morale).

Riprendendo Taylor di Moraly topography of the self Pirni riprende il concetto secondo cui il sé esiste essenzialmente in uno spazio morale: “E questo è ciò che intendo quando parlo di una “topografia “morale” del sé(…). Questo modo di parlare potrebbe sembrare fantasioso o arbitrario ma non lo è. (…)Intendo con ciò affermare non soltanto che le immagini spaziali ricorrono frequentemente nel linguaggio morale –basti pensare alla descrizione platonica dell’occhio dell’anima che guarda in direzione delle idee, o alla salvezza collocata in paradiso, o alla verità come qualcosa “dentro” di noi. (…)La mia tesi è che tale costitutiva spazialità del sé è essenzialmente legata ad un topografia morale, ad una consapevolezza circa il luogo in cui risiedono le fonti morali (moral sources). p.72

Il secondo excursus, La crisi e il suo oltre individua nel concetto di crisi una delle difficoltà forse suggerita dall’etimo della parola di allargamento della coscienza che pone in discussione l’esistente in ragione della presenza di nuovi fattori recati con sé dall’arrivo dell’altro. SI tratta di una dimensione di ripensamento e di ridefinizione conseguente all’apertura al nuovo.

In questa parte l’autore identifica sei significati per il termine crisi: “1.un punto di svolta, cruciale o decisivo; 2.una situazione instabile, in ambito politico, sociale, economico o militare; con particolare riferimento a qualcosa che implica un imminente e brusco cambiamento; 3.un improvviso cambiamento nel corso di uno stato di salute di un individuo, che implica per lo più (m non solo) un peggioramento di tale stato; 4. Un cambiamento traumatico o stressante nella vita di una persona; 5. Una mancanza, intesa come un venir meno di connotazioni valoriali prima presenti ovvero una sopraggiunta scarsità di beni materiali; 6.un punto, all’interno di un intreccio narrativo o di un’opera teatrale, nel quale un conflitto raggiunge un picco o un suo punto apicale (esplode) prima di essere risolto. (pp.150/151)

Nel terzo excursus, Cedere spazio per ricevere spazio, si apre il discorso al metodo. Quale metodo? Ci si apre all’idea del “passo indietro” e della disponibilità alla messa in discussione dei nostri convincimenti, valori, norme per realizzare le condizioni di possibilità di un confronto privo di pretese di risultato definitivo che solo l’autentico dialogo con l’altro sa determinare.

In tale senso A.Pirni si avvale dell’apporto dialogico di C. Taylor e dei suoi metodi di indagine.

L’autore propone una nuova dialettica tra ciò che già c’è e quello che non ancora si è inverato. Siamo nell’epoca del “tra”, in un’era di mezzo all’interno dei quali le vecchie prospettive sono in discussione, de facto, pur sopravvivendo nelle loro forme schematiche e talvolta anche stereotipate in termini di adeguatezza al presente. Le nuove dimensioni prospettiche si possono intravvedere ma non si possono affermare con definizione ora stabile nei termini di un’interculturalità che viene scoperta, ed è questa un’importante novità espressa dalla ricerca di A. Pirni come interdisciplinarietà.

Ne è baluardo l’esempio dato nel terzo excursus del gesuita Matteo Ricci che recatosi in Cina da un lato dette spazio al confucianesimo dall’altro dette quei principi del cristianesimo ad esso confacenti: “E’ questo uno spazio che, nel suo articolarsi sempre mutevole e necessariamente contestuale, conduce molto al di là dell’esperienza di Ricci e sicuramente al di fuori di ogni prevedibile lineartità di percorso della modernità occidentale: uno spazio potenziale, inespresso e latente, che da un lato (ri)legittima il cristianesimo tra le fonti perenni della modernità occidentale e, dall’altro, evoca l’inesauribilità ermeneutica di ogni nostro prendere commiato da esso.”p.236

Ne diviene, lungo questo tracciato baluardo la chiosa del libro di A.Pirni: “Nel suo farsi e compiersi, conclusivamente, quella narrazione afferma così ancora una volta un principio assolutamente banale sul piano teorico ma assolutamente esigente su quello etico: nel dialogo tra le culture, nessuna e nessuno può pensare di avere l’ultima parola. Si tratta di un’esigenza che, credo, non possiamo oggi più esimerci dall’affrontare se e nella misura in cui vorremo/dovremo pensarci cittadini di un qualcosa di molto più condiviso e frammentato di ciò che per secoli siamo stati abituati a pensare come solo “nostro”.”p. 266

In ragione dell’attualità del tema sviluppato in chiave interdisciplinare con importanti e centrali paradigmi filosofici con il contributo dell’antropologia sociale, della sociologia e della Filosofia della politica si confida nella partecipazione di un pubblico interessato al tema dell’interculturalità al fine di poter aprire un dibattito di crescita con l’autore e con il pubblico che interverrà all’evento.

Nicola Tudisco

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