Piancastagna, la commemorazione al Sacrario
Ponzone. Quell’impegno comune i presenti, al Sacrario di Piancastagna, domenica 10 ottobre, davanti al bassorilievo di Domenico Lanza Mingo, se lo sono dovuti prendere subito.
Quell’impegno lo ha subito proposto Roberto Rossi (Anpi Alessandria e Acqui): “il fascismo non deve più rinascere”.
All’indomani dell’azione squadrista di Roma, il ritrovarsi nei luoghi della Resistenza e dell’ottobre 1944 assume un sapore particolare: e se qualche assenza si nota, è di conforto sapere che chi non c’è ha voluto portare solidarietà alla Camera del Lavoro di Alessandria (o di Asti, o di Genova: in 110 città d’Italia si manifesta per dire no ad una violenza che sa d’antico). Lì sono state promosse iniziative di presidio e di solidarietà. Solidarietà non solo alla CGIL. Ma agli apparati della Repubblica tutta, perchè è ad essa che il vulnus è stato sferrato. (“E d’altronde i segnali preoccupanti, le provocazioni, erano da tempo riconoscibili”).
Tanti sono gli oratori in questa fredda domenica d’autunno, che spinge a cercare i raggi del primo sole del mattino. (Per un attimo pensi che il rigore sia più intenso, ancora tornando il pensiero dei fatti, accaduti poche ore prima, che ognuno proprio non reputava si potessero riproporre).
Tanti gli oratori (il sindaco di Ponzone Ivaldi, il presidente della Provincia Baldi, Adriano Icardi, Mauro Bressan della Segreteria Provinciale ANPI), ma tanti sono anche i sindaci e i gonfaloni (Acqui, Cassinelle, Castelletto d’Orba, Molare, Morbello, Ovada, Ponzone, Silvano d’Ora; c’è quello della Provincia e quello dei Partigiani, con le sue medaglie), tanti i tricolori.
La storia che è sempre presente
L’orazione di Eric Gobetti inizia ricordando come quella guerra di liberazione nazionale – la Resistenza – sia sta capace di mettere insieme gruppi che si pensavano inconciliabili: socialisti e cattolici, monarchici e repubblicani. (Ecco: dai partiti dell’arco costituzionale, all’indomani del 9 ottobre, si pretenderebbe ora una identica comune condanna, una unità d’intenti…ma non sarà così).
È una resistenza plurale: di qui la necessità di non dimenticare qualche pezzo importante del biennio 1943-45: gli IMI (gli internati), i partigiani all’estero, le donne, i contadini, quei soldati pochi, in divisa, che combattono…. E che muoiono. Come a Cefalonia.
È un fenomeno glocal, la Resistenza. Internazionale e, nello stesso tempo, di cascina, di famiglia, di dialetto. Ecco italiani senza divisa che ricorrono alla guerriglia in Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia…
E da noi, con il comandante Boro, disertori tedeschi e austriaci e sovietici… Poi si aggiungono anche gli uomini delle Missioni SOE (Neville Darewski /Temple e Ballard), e i canadesi paracadutisti di Mac Donald (come succede nella non lontana Vesime).
Che sia stata una scelta coraggiosa, non di comodo, lo dicono le percentuali: il 50% dei partigiani cade vittima del fuoco avversario.
Sì: quella fu anche una “guerra civile”, ma non basta la definizione (all’inizio contestatissima) per equiparare partigiani e fascisti. Quel che conta è sottolineare che ci fu una parte giusta, da tanti, dai semplici individuata non per ragioni di ideologia, ma per senso di umanità. E una sbagliata, in cui cresce l’odio verso l’altro (e così dalla discriminazione 1938 si passa alla deportazione e ai campi).
“Il fascismo non deve più rinascere” pensava chi combatteva, 77 anni, fa tra questi boschi.
Luciano Canfora la chiamerebbe “la presentezza della Storia”: lo stesso impegno, lo stesso appello alla condanna della violenza, dell’estremismo, deve giungere oggi. “Il fascismo non deve più rinascere”.
G.Sa