Acqui Terme

Sull’albero della poesia con Vivian Lamarque

Vivian LamarqueAcqui Terme.   La poesia: un albero. Da questa equazione (ma chissà che pianta sarà: un mandorlo  o un melo pascoliani, o l’albero isolato e storto rinvenuto da Ungaretti in una dolina;  sarà invernale o primaverile;  alto e schietto di carducciana memoria, o tamerice cara tanto al Divo  Gabriele quanto – per via virgiliana – a Giovannino di San Mauro; o ancora alloro apollineo, o mirto  di Venere…?), da questa equazione, alle 17.30 di venerdì 17 marzo, nella sala maggiore di Palazzo Robellini, avrà inizio il dialogo tra la poetessa Vivian Lamarque e Cecilia Ghelli, già lettrice della Università di Losanna. L’incontro, aperto a tutti, ma valido per le attività di formazione e aggiornamento degli insegnanti,  fa parte della rassegna Conversando con la scrittura. Incontri di poesia e critica promossa da Archicultura.

 Vivian Lamarque è nata a Tesero (Trento) il 19 aprile 1946. Dall’età di nove mesi vive a Milano, dove ha insegnato per anni in vari istituti e anche agli stranieri. Tra i suoi libri  Teresino (Soc. di poesia & Guanda, 1981, Premio Viareggio Opera Prima), Il Signore d’oro (Crocetti, 1986 e 1997), Poesie dando del lei (Garzanti, 1989), Il Signore degli Spaventati (Pegaso, 1992, Premio Montale). Il corpus delle sue poesie è stato raccolto  da Mondadori nel  2002. Dopo questa data son venute le Poesie di ghiaccio (Einaudi Ragazzi, 2004), Poesie per un gatto (Mondadori, 2007), Poesie della notte (Rizzoli, 2009), La gentilèssa (Stampa, 2009). Ha pubblicato anche una quindicina di libri di fiabe, ottenendo tra gli altri il Premio Rodari (1997) e il Premio Andersen (2000). Ha tradotto Valéry, Baudelaire, Prévert, La Fontaine, Céline, Grimm, Wilde.

Su “Sette” ha tenuto la rubrica settimanale “Gentilmente”, raccolta poi nell’omonimo volume Rizzoli (1998). Collabora al “Corriere della Sera” e ai suoi inserti; ha una rubrica fissa su “TV Sette”.

Ancora una volta Milano

La città come incubatrice di poesia. Vivian Lamarque ha scritto che i suoi milanesi prediletti “hanno ali piume zampette code radici foglie. Seguono poi tutti gli altri, di tutte le età e di tutti i colori, anche quelli venuti da lontano con i loro “negozietti in una mano”.  E allora  diventa facilissimo essere poeti a Milano. “Perché è il male di vivere a metterti in mano la penna, non l’armonia, non l’equità. E’ forse quando Milano ti ferisce l’anima, che bussa la poesia. Quando Milano è gentile, la percorro in bicicletta, non scrivo”.

Alberi … di famiglia

Inevitabilmente sarà affrontato anche il tema dell’orfanezza. In relazione ad una storia familiare che potrebbe essere considerata complessa, ma che a ben vedere è ai giorni nostri più che diffusa (con le cosiddette famiglie allargate, che pure son altra cosa a ciò che ha vissuto l’Autrice).

Per Vivian Lamarque (che ha assunto il cognome del marito pittore)  un destino da cercatrice. Con la queste finalizzata a rintracciare madri, padri, fratelli. sorelle consanguinei di ogni genere. “Ne ho inseguito senza pace le tracce, ho sacrificato anni centrali della mia vita in questa ossessiva ricerca. Li ho rintracciati quasi tutti, uno a uno. Sì, ho trovato i singoli, ma non l’insieme. È il mio arto mancante. Nonostante ora mi avvicini ai 70, e sia madre e nonna, continuo a sentire il mondo diviso per due. Col resto di uno: io”.

Sin qui le prose/intervista. Con le ultime poesie  de  Madre d’inverno – si tratta di un vero e proprio ritorno alla lirica, dopo una pausa  di tre lustri – che per la critica  confermano a pieno il ruolo  di primo piano della Lamarque  nel panorama contemporaneo. Donna che affronta la realtà, anche la più difficile, facendo ricorso all’ironia, ad  sorriso pacato e vero, che riesce a  disarmare le frustrazioni, le disillusioni e le sofferenze.

Da un albero ad un fiore

Per concludere un testo lirico.

“Se vedete in un giardino le viole/ divise in due per colore, tutte/ le gialle di qua, e tutte le viola/ di là, e se vedete una gialla una sola/
finita per sbaglio di là, e se in tasca/ avete per caso qualcosa/
ripiantate nella sua giusta/
aiuola quella spaesatissima viola,/ si sta un po’ anzi tanto a disagio/ di là”.

A cura di G.Sa

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